Intervista a…. Marco Paracchini

1) “Il Duca Dragàn” , della serie Angerwolf, è ambientato a Pergine, che rapporti hai con la città?

La mia famiglia ha radici trentine, ergo ho un forte legame con la Valsugana. Pergine è una cittadina che conosco molto bene e l’ho sempre trovata interessante come location per un film, ma considerando che ormai l’attività di narratore mi riesce meglio nei libri più che nell’audiovisivo, ho deciso di utilizzare parte della sua vera storia per ambientarci una fitta trama di horror classico, là ove le alte mura del castello perginese fanno volare alta la fantasia!

2) Il tuo protagonista è un tipo un po’ particolare: c’era già o è nato quando ti è stato presentato il progetto Angerwolf?

La casa editrice che ha pubblicato il mio primo libro (ora fuori catalogo) mi aveva chiesto una storia di vampiri che potesse strizzare l’occhio agli young-adults (era l’epoca di “Twilight”), ma presentai all’editore solo lo scambio di battute tra l’eroe (che all’epoca era senza nome) e il vescovo. La bozza non piacque e io non ero adatto a scrivere storielle per ragazzine, dunque abbandonai il progetto. Anni dopo è giunta la proposta di Bellesi & Francato per scrivere una storia mannara dunque ho ripreso in mano quell’introduzione che divenne qualcosa di straordinario: mi portò nuove idee, riscrissi il personaggio e cambiai (ovviamente) quasi tutta la mappa narrativa per renderla migliore, accattivante e decisamente più adatta a un pubblico che ama l’horror classico e non le vicende adolescenziali di licantropi innamorati. Oggi Jean-Claude vandenberg è, a detta di molti, un eroe che potrebbe sbaragliare la concorrenza: credo nella sua forza e gli editori anche, tant’è che mi hanno invitato a scrivere altri due atti!

3) Questa non è la tua prima opera. Come è nata la passione per la scrittura?

Non ho mai avuto la passione per la scrittura, ho avuto la passione per la narrazione di eventi, personaggi o eventi. Ho sempre lavorato in contesti in cui raccontare una storia, un brand o un format educativo, erano il pane quotidiano ergo, dopo qualche anno, stanco di avere tante belle idee non realizzabili cinematograficamente, mi sono dato alla scrittura. Quanta fatica, però! Giungere dalle sceneggiature e immergersi nella narratologia non è stato facile: ho seguito un corso, scritto moltissimo e fatto tanti errori (e parecchi ne faccio ancora), ma l’impegno e l’amore che metto nello storytelling comincia a darmi grandi soddisfazioni. Scrivere su invito è qualcosa che cambia il modo di vedere le cose e lo si affronta con più energia.

4) C’è qualcos’altro che vuoi dire? Optiamo per il marzulliano “fatti una domanda e datti una risposta”?

Voglio solo ringraziare chi ha avuto fiducia in me: in primis gli editori e poi coloro che hanno avuto il coraggio di addentrarsi nello spietato mondo di Vandenberg! Buona lettura!

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